26 dicembre 2016

Fantasmi

Scopro che il fotografo alla mostra di Robert Frank mi aveva fatto più di una foto. Ma, come promesso, pubblico solo questa. Che è l'unica di cui ero a conoscenza.
In più c'è il ritratto che deve ancora arrivare.



Lui lavora, o possiede, non ho capito un laboratorio di fotografia, fa anche workshop di tecniche di sviluppo e stampa e penso di andarlo a trovare prima o poi. In fondo coincidenza vuole che sia a Firenze (non troppo lontano da dove abitavo io).

Comunque se volete vedere la pagina del laboratorio, si chiama Visiva; quanto mi piacerebbe riprendere in mano la fotografia analogica. Ma seriamente.

È che la fotografia digitale, per quanto meno poetica, è più pratica.

25 dicembre 2016

W.E.

Ti ho vista seduta in un caffè. Eri assorta nei tuoi pensieri e il tuo caffè lungo si stava freddando.
Non ho potuto fare a meno di notarti; quegli occhi, mioddio quegli occhi. L'universo tormentato dentro. Quel sorriso lieve: chissà per cosa.
Non eri bella ma c'era qualcosa che non potevo afferrare.
Il barista non è riuscito ad attirare la tua attenzione per sapere se volevi altro. Da quanto tempo eri lì?
Forse da molto. Di sicuro da sempre dentro la mia testa.
Sono due anni e mezzo ora, il pensiero torna a quel giorno.
A quel giorno in cui hai accennato mezzo sguardo verso di me, in un angolo, a quel giorno in cui ho compreso ma non del tutto.
A quel giorno in cui la mia domanda era se avessi dovuto seguirti per la vita, o lasciarti così, perfetta, in un angolo dei miei pensieri.

E oggi. Oggi quell'immagine va lentamente svanendo. Ma forse, soltanto forse, è diventata più viva che mai: così viva da essere me, quell'immagine. Così reale da essersi fusa in me creando ciò che sono.
Io, Lei, Noi.

24 dicembre 2016

一日三秋

Ti ho sognato stanotte.
È strano perché non ti sogno quasi mai. Faceva freddo e nevicava, forse eravamo in un luogo straniero dove però ti sentivi a tuo agio.
Mi guardavi senza dire una parola, con i tuoi occhi scuri.
E io, io non sapevo cosa pensare. Guardavo i fiocchi di neve scendere e ognuno di essi sembrava metterci una vita.
E c'era una verità nascosta in ognuno di essi: eppure, nonostante la lentezza, il tempo a me necessario per afferrare questa verità era sempre poco.

A Natale non c'è sole.

21 dicembre 2016

La festa del solstizio d'inverno

Stasera vado alla festa del solstizio d'inverno a danza del ventre. Una cosa molto da streghe, bellissima. Candele al centro, noi che danzavamo in cerchio, tutte insieme. Occhi fissi sul fuoco, respirazione, rilassamento.
Una cinquantenne (modestamente figa, magra, tacco altissimo, supertruccata) che fa la PR per i locali a Milano e che si è ubriacata dopo due dita di spumante (in due bicchieri diversi, così spartiti: mezzo dito in uno, un dito e mezzo nell'altro) mi attacca la pezza e mi fa
"ma io ti ho già vista da qualche parte"
io: "qui a danza, penso" (frequentiamo classi diverse però sai, mi si vede, non sono invisibile)
lei: "no no in qualche locale! a Milano, vieni mai a Milano?"
io: "bhe per mostre ogni tanto"
lei: "no per locali. dai sei mai venuta al locale xxx?"
"no"
"e al zzz?"
"no"
"e al zxw?"
"no guarda non frequento locali..."
lei: "ma no io ti ho vista...sono sicura, hai dei capelli stupendi, sono bellissimi"
E VIA COSÌ ALL'INFINITO... ennamiseria
c'è una mia sosia che ha rotto le palle in giro. per concerti a Lugano, per locali a Milano, a ubriacarsi per Firenze per concerti, ma anche giracchia sempre attorno alla stazione di Firenze, perché, anche lì:
"oggi è tutto il giorno che ti vedo"
io: "ehm no sono appena arrivata da Como, col treno."
"nono impossibile eri proprio tu"
io: "ah già è vero"

Certe pazzie vanno assecondate.

Risate a parte, voglio concentrarmi sulle sensazioni che mi danno questi incontri di sole donne, in cui mi sento legata alla terra, in cui vorrei andare in un bosco e danzare sotto la luna. In cui mi sento tutt'uno con l'universo (ah-ah sì ridete).
Abbiamo iniziato accendendo ognuno la candela che aveva portato da casa e le abbiamo messe in un piatto molto grande di rame al centro della sala di ballo. Lily, la nostra insegnante, aveva già bruciato della salvia che serve a purificare l'ambiente. Ci ha consegnato un foglio di carta ciascuno. Nel mio era scritto: "LEI - Apprezzamento. Mi sento benedetto e onorato. Il divino in me ama e rispetta il divino in te." Poi, nel libro da cui aveva preso queste frasi leggerò anche che "Gli incontri affettuosi arricchiscono la nostra vita e nei periodi difficili ci donano forza, amore, speranza e consolazione. Il "lei" sta per amore e simpatia. "Lei" significa "creatura amata". Hai meritato di essere amato, festeggiato e felice."
Ci siamo sdraiate e abbiamo fatto un po' di rilassamento, pensando alla frase di cui sopra e al significato che poteva avere per noi.

Infinite, ci siamo sistemate per danzare (con la musica qui sotto) e poi per danzare in cerchio, e una spirale.
Una danza a spirale per accogliere l'inverno che arriva. Arrivate al centro ho sentito il calore delle fiamme delle candele e lì la danza è diventata una frenetica corsa in cui, tutte per mano, ci siamo sentite vicine.
Donne e immense, e potenti, e uniche. E belle.

Alla fine di tutto, ovviamente il brindisi. Una festa di Natale tanto bella e pagana non l'avevo mai fatta. C'è stato un momento, o forse più di uno, in cui mi sono davvero sentita legata a tutto quello che mi circonda e in quel brevissimo istante mi sono sentita serena e ho capito.
Ho compreso ogni cosa. E ho compreso perché è accaduto cosa è accaduto.

Avevo portato la mia Pentax Spotmatic a pellicola per delle foto, ma l'ambiente era troppo buio e se avessi scattato non avrei portato via questa cosa, che sto tenendo stretta al cuore.

E infine brindisi e rileggere quanto scritto prima della PR milanese.
Ma prima ancora, Lily ci regala un pacchettino con un pensiero. Una marmellatina, una candela e un tarocco. E indovinate? Il mio, scelto nel mucchio, era il papa.
Il papa è un grande maestro, un iniziatore, una guida che ci indica un obiettivo nella vita. Ma il papa, come tutti gli arcani, ha il suo lato oscuro. Mi ci rivedo molto, anche per l'energia maschile che è in me e che mi rende così: quella che sono.

The pope

Infine, meno romantico, oggi è stato il primo giorno della nostra donna delle pulizie. L'avevamo scelta da un annuncio perché amante degli animali, ed era la nostra priorità. Ovviamente non lo potevamo sapere prima ma la signora sta facendo la chemio: non c'è verso che io allontani da me questo male. Ci provo ma è sempre accanto a ricordarmi che.

Comunque ammetto che, nonostante la mia reticenza iniziale, è una benedizione levarsi di culo questo impiccio delle pulizie.

Ecco alcune foto fatte col cellulare della serata.









20 dicembre 2016

La mia esse

A 23 anni le prime fitte continue.
Non si sentenzia con la lombosciatalgia, è così e basta.
Ero convinta, ai tempi, di avere fatto qualche movimento brusco in mare: ero stata pochi giorni prima in Liguria e avevo sguazzato con il mio sensualissimo stile del cagnolino.
Ma il dolore non passava facilmente, stava lì giorni e poi tornava.
Solo l'anno dopo mi sono convinta a farmi fare delle lastre alla schiena.
Queste (che ho ritrovato a casa di mia mamma):


Su indicazione della dottoressa, ai tempi, sono andata in un centro fisioterapico convenzionato con l'Asl dove il fisioterapista, guardando le mie lastre, ha subito chiamato un collega dichiarando a gran voce "OH VIENI A VEDERE LA SCHIENA DI QUESTA RAGAZZA!". Delicatezza prima di tutto.

La sentenza è micidiale: ho due vertebre (quasi) fuse, la schiena parecchio torta, il bacino ruotato. E non posso fare nulla.
Solo ginnastica correttiva, e nuoto.

Così comincio a fare ginnastica correttiva coi vecchi (sul serio) e funziona per un periodo, un periodo lunghissimo durato fino a qualche mese fa. Ora ogni mattina mi alzo con fatica, il dolore è abbastanza forte. Danza del ventre non aiuta, e la prima lezione di Yoga ieri mi ha letteralmente ammazzata.
Quindi vivo con questo dolore di fondo costante, che si acuisce al mattino, se mi piego in certi modi, dopo danza e dopoduranteancheprima di Yoga.

Tutto questo perché ho una mamma fin troppo buona e quando le consigliarono, durante il periodo delle mie medie, di farmi mettere il busto, io dissi di no. E alzo il dito medio a chi mi dice che è stata una fortuna vivere scialli e liberi senza che i genitori stessero troppo addosso: ecco la conseguenza.
Poi miliardi di altre conseguenze positive eh?

Se mi avesse tirato un ceffone ci sarei rimasta di merda ma ora avrei una schiena usabile!

Una parte di me sa che probabilmente dovrò reiscrivermi a nuoto e la cosa mi farebbe cristonare se solo non avessi promesso di non bestemmiare più.
Forse.

19 dicembre 2016

Tornare a fare cose

Da quando ho avuto l'incidente ho guidato poco. Praticamente niente. È capitato qualche volta, ma si possono contare sulle dita di una mano e l'incidente è stato quasi sei anni fa. Non amavo guidare nemmeno prima: ricordo ancora le prime volte in autostrada, diciamo che ho colto l'occasione dell'incidente per dichiarare apertamente di non volere guidare (avevo ora una scusa senza dover dare troppe spiegazioni: la paura degli insetti, dei ragni, dei luoghi affollati sono paure socialmente accettate).
Per intenderci, non è una fobia, è una cosa che faccio solo se strettamente necessaria.
Però d'altro canto non avendo più guidato diciamo che ho avuto modo di alimentare una sorta di fobia. Mannaggia quanto scrivo male stamane.
Comunque.
Questo weekend siamo stati a Treviso, Cividale del Friuli e Udine con una coppia di amici. Loro sarebbero andati in treno e noi li avremmo raggiunti a Treviso in macchina. Durata del viaggio da Cömo, circa 4 ore.
Fry sbuffa un po', è indeciso, 4 ore non sa.
Gli dico che se vuole me la sento di fare metà viaggio all'andata e metà viaggio al ritorno. Però se faccio storie, di insistere, di avere polso con questa cosa.
"Ma poi dici che sono rompicoglioni"
Se insisti su altre cose sì, ma su questa ti chiedo io di insistere!
Ok.

Partiamo, con moccoli trattenuti (perché il mio impegno per il 2017 è non bestemmiare) ma ce l'ho fatta (senza la necessità di insistere).
Con scleri vari ma ce l'ho fatta, al ritorno abbiamo anche beccato nebbia e ho persino canticchiato.

So che è una piccola cosa, ma per me è una grandissima cosa. Vi faccio un esempio: io adoro ragni e insetti. Ma se chiedessi al 90% delle persone di farsi camminare un insetto addosso, probabilmente sclererebbe e non lo farebbe mai.
Per me è questa sensazione, l'essersi fatta camminare addosso diversi miriapodi senza battere ciglio (io li amo, ma è per fare capire cosa ho provato).
Quindi sono molto orgogliosa di me stessa.

A voi le foto (in elaborazione) della gita. Perdonate se non ho fotografato palazzi storici e piazze turistiche ma mi sto concentrando sulle sensazioni. È difficile avere uno sguardo personale sulle cose.
Se pigiate sulla foto vi si apre l'album di flickr. Molto probabilmente le prime due foto andranno al macero, per ora non è ancora l'album definitivo.

La foto dell'omino illuminato di rosso è quella che preferisco. Ma c'è un motivo. Eravamo dentro questa chiesetta molto semplice, soffitto con travi in legno, buia, piccola. Questo signore (il custode? un prete? chissà) passeggia e ci osserva. D'un tratto si va a sedere sotto una stufetta elettrica a infrarossi e viene illuminato da un raggio di luce rossa.

Era una scena molto simpatica che non sono riuscita a fotografare al meglio. Gli ho chiesto se potevo fargli una foto e lui ha acconsentito. In realtà ho fatto diversi scatti e non sono nemmeno sicura di avere scelto il taglio migliore, ma l'idea di un pretino illuminato col colore del peccato mi garbava abbestia.


Udine o Udire?

16 dicembre 2016

Medioformato

Un po' di mesi fa ho aperto una pagina facebook per pubblicare alcune mie foto: si chiama Medioformato.

È stata una scelta dettata più che altro dalla necessità, stavo facendo delle foto ai migranti bloccati alla stazione di Cömo e necessitavo di un luogo pubblico in cui inserirle.

Il nome Medioformato ha un collegamento che in realtà non esiste, ma mettiamocelo pure, dai!
Io volevo sfruttare il numero 42, che come sapranno i nerd è la risposta alla "domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto". Ma per quanto ci lavorassi non riuscivo a combinare il tutto in un logo decente. Così Fry mi ha suggerito di usare il nome Medioformato, appunto.
Che poi a ben pensarci, il formato che preferisco è proprio quello, il 6x7 della mia analogica preferita (tra quelle che ho) Pentax.
Però 6x7=42. Quindi questo Medioformato può essere davvero la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto.

Mi piace pensarla così: e in effetti la uso così poco che potrebbe davvero contenere LA risposta, ma potrei anche non saperlo mai.

Canzone del giorno: No Soul Bud Spencer Blues Explosion (BSBE)

15 dicembre 2016

I Milanesi ti scontrano apposta

È un dato di fatto; di solito ti scontri o rischi di scontrarti con le persone se uno dei due o entrambi non guardano dove vanno, se c'è indecisione e quindi si rimane a fare il balletto del "dove passi tu? dove passo io?".
Oggi sono stata parecchio in giro a Milano, sono andata a vedere la mostra "Gli Americani" (The Americans) di Robert Frank, fotografo, e poi a bighellonare in giro in attesa dell'inaugurazione, alle 19, di Officine Fotografiche.

La mostra di Robert Frank è stata bella, avevo già visto il catalogo ma ero curiosa di passare anche per vedere lo spazio espositivo e per leggere del viaggio che questo fotografo svizzero aveva fatto negli States negli anni '50, per documentare (secondo me al meglio) il popolo americano.
Ovviamente fu criticato per questo, per come li dipinse.
Ma, tant'è.

Alla mostra noto due individui, uno un po' più grande e uno un po' più piccino con due macchine analogiche. Mi incuriosiscono e li osservo. Mi guardano, sono incuriositi.

Mentre attraverso il corridoio che porta da una stanza all'altra, il più giovane mi inquadra. Me ne accorgo ma alla velocità in cui vado sicuramente non riesce a mettere a fuoco, sta ancora armeggiando con l'obiettivo. Così congelo il mio passo per dargli una mano, però guardando in macchina.
Mi ringrazia.

Mi avvicino: gli chiedo se è possibile avere la foto scansionata se gli lascio la email.
"Certo, però ti faccio una foto più bella"

Armeggia nella borsa e tira fuori una rolleiflex, non glielo chiedo ma spero col rullino in bianco e nero: mi fotografa tra due scatti di Robert Frank e mi lascia il biglietto da visita col suo numero di telefono scritto a matita dietro.
No, tranquilli, è un numero che si può reperire tranquillamente online, vi spiego perché.

Ha un laboratorio fotografico a Firenze dove fa anche workshop per lo sviluppo delle pellicole e la stampa. Il biglietto da visita è per quello, ho cercato il laboratorio e ho visto che tra i contatti c'è il suo numero, quindi nulla di trascendentale.

Tralaltro cercando su facebook ho visto che ha fatto il mitico liceo Agnoletti, a Sesto Fiorentino, lo stesso in cui andava Roccio e il mitico posto dove abbiamo fatto, ogni anno e fino a qualche anno fa, i meeting nazionali di piante carnivore. Perché l'assistente al laboratorio di scienze di quella scuola è il miticissimo Sergio Cecchi, presidente onorario dell'AIPC (Associazione Italiana Piante Carnivore) e credo primo coltivatore italiano, nonché genio e nonnino di tutti noi coltivatori, che lo adoriamo e lo veneriamo!

Dopo questa visita faccio un giro al gelo ma ben presto mi rendo conto che è necessario che mi fermi se non voglio morire di freddo. Così mi infilo in un posto a prendere un the caldo e mangiare una cheesecake e perdo un po' di tempo.
Fino a che non decido di farmi quest'altra mezz'ora a piedi per arrivare in via Friuli 60, dove ha aperto questa officina. Spazio per mostre, aule per lezioni, nuovissima sala posa (tutta in ordine). Più piccolo aperitivo. Ma c'è troppa gente, i stresso subito e non passa nemmeno mezz'ora che sono già fuori a camminare per trovare la metro.

Mentre sono sul treno mi arriva una brutta notizia. Il parroco della mia infanzia e adolescenza è mancato.
Trascrivo cosa ho scritto su facebook e sono sicura, Don Enrico, che tu mi abbia sentito, vecchio bisbetico rompiscatole :)


Oggi se n'è andato un pezzo della mia infanzia e della mia adolescenza, è mancato il parroco che ci ha seguito durante il nostro percorso religioso che poi, va bhe, io ho abbandonato. Ho un bellissimo ricordo di quest'uomo che amava il vino e non si faceva mancare qualche parolaccia; ma era sempre con noi. E dato che credeva nel paradiso sono convinta che adesso sia lì ad attenderne l'ingresso, con un bicchiere di vino in mano e borbottando perché sta ancora aspettando. Ciao Don Enrico, bon voyage. E se mi fai sprecare qualche buona parola su un prete si vede che sei stato davvero bravo, e ti immagino mentre te la ridacchi per questa mia pessima battuta.

Stasera alzo il calice per te.

14 dicembre 2016

Per quest'anno non cambiare,
la mammografia ti tocca fare

Da quando sono stata operata la sentenza definitiva è: visita alle tette una volta l'anno.
Inizialmente si pensava a fare solo delle mammografie ma dato che il tumore era stato radioindotto (da questo post "due radioterapie di cui una a mantellina a 36 Gy e 2 chemioterapie - per intenderci, per fare 1 Gy ci vogliono le radiazioni di 100 radiografie al torace") c'è stato un condono ad alternare risonanza magnetica al seno e mammografia.
La risonanza magnetica è un terno al lotto, tantoché mi sono rassegnata a farle a Monselice in provincia di Padova, in una struttura che fa solo risonanza. Perché?
Perché la risonanza magnetica al seno può essere fatta solo tra il settimo e il quattordicesimo giorno di ciclo altrimenti può dare falsi positivi E dato che gli appuntamenti in un qualsiasi ospedale per la RM vengono dati da qui a 6 mesi, capite come sia impossibile calcolare i giorni esatti del ciclo.
A Monselice, in questa struttura, riescono a darti appuntamento da una settimana all'altra perché fanno davvero solo quello.
Ovvio, ci impiego una giornata intera ma tant'è, finora non ho trovato altre strutture equivalenti in zona.
Pro della RM: no radiazioni. Contro: devono bucarmi per iniettare il liquido di contrasto e l'ultima volta ha bruciato da matti perché, secondo me, non era perfettamente in vena l'ago.

La mammografia è più semplice. Prenoti in qualsiasi struttura nel comasco o nel milanese, prendi e vai.
Pro della mammografia: non ti bucano. Contro: ti schiacciano le tette fino a farti male e ovviamente le radiazioni.

L'ospedale designato è Villa Aprica, sulla strada per andare a Chiasso.
Già da fuori ha un aspetto assolutamente degradato ma poco male, potrebbe essere interessante.

Entro e cerco l'accettazione: in tutti gli ospedali funziona così; entri, fai due chiacchiere con la tipa che controlla tesserino sanitario, impegnativa medica e orario dell'appuntamento e poi, teek, a sedersi in punizione.

Ma non è così, faccio la mia bella codina e quando è il mio turno l'allegra signora mi dice che devo andare alla "cassa".
La cassa?
Va bhe, non sto a sindacare anche se non devo pagare nulla perché ho la mia bella esenzione.

Vado alla cassa, non c'è nessuno. Due sportelli di cui uno impegnato con una signora.
Prendo comunque il numerino.

Mi avvicino alla cassa libera: "Mi scusi?"
"Chiamiamo noi il numero!"

Faccio un passo indietro.
La signora nel frattempo sembra non stare facendo nulla, ma anche qui non sto a sindacare.
Aspetto qualche minuto e compare il mio numerino sul display.
"Prego venga"
Sistemate le solite faccende vado al seminterrato dove sempre, in tutti gli ospedali, c'è il reparto radiologia. Quando mi chiamano, una voce nascosta nel nulla, io effettivamente non so dove andare. Così mi muovo a caso finché una dottoressa, giovane e bionda, non mi fa accomodare in uno stanzino minuscolo che comprende una seggiola dove posare i miei vestiti e l'apparecchio per la mammografia. Rimango delusa, in tutti gli altri ospedali spogliatoio e stanza con l'attrezzo sono separati, inoltre di solito la stanza è abbastanza ampia e comprende anche altri macchinari. E io che speravo di poter chiedere di fare una foto decente, ma in quello stanzino non c'è quello che vedevo nella mia testa. Così rinuncio.

Il resto non sto a descriverlo, per chi ha il seno piccolo è abbastanza una tortura la mammografia. La dottoressa mi sprimaccia le tette per cercare di schiacciarle all'interno dell'apparecchio. Il gesto potrebbe sembrare quello di un contadino che munge una mucca: acchiappa, tira e spreme. Da sopra per tutt'e due le gine, di lato per tutt'è due le gine.

Mica finita: ecografia.

L'ecografa è giovane, probabilmente polacca dall'accento. Come la radiologa mi chiede info sul mio trascorso di salute e scartabella gli altri esami che le ho portato. Chiede se ho familiarità per il tumore al seno, dico che no, mia mamma ha avuto un tumore all'utero. Ma essendo certa della mancanza di familiarità per quello, mi sento piuttosto serena.
Scrive sul monitor "Familiarità per K all'utero". MA COME? MI AVEVANO DETTO CHE NON C'ERA FAMILIARITÀ. Uff, non devo bestemmiare.

Procediamo.

Fa i complimenti ai chirurghi di Torino perché la mia cicatrice non si vede dall'esame mammografico, infatti si volta per guardarmi il seno e capire dove si trovi il taglio.
L'ecografia principia. Dopo tanti anni posso dire che l'ecografia è l'esame che mi rilassa di più. Sei sdraiata, cosparsa di questo gel tutto sommato non sgradevole ed essendo io magra di solito non devono premere troppo con lo scanner a ultrasuoni e così mi godo quel piacevole massaggio che ne deriva e, se ci sta, qualche chiacchiera sul più e sul meno.
L'ecografia che preferisco in assoluto è quella al cuore.
Soprattutto se l'ecografo è disponibile e ti spiega le cose.

Non solo sei sdraiato a goderti il massaggio, ma se hai il monitor a portata di vista, vedi proprio il pulsare della vita, e il suono del battito del tuo cuore (e nel mio caso la valvola mitralica un po' prolassata, ma niente di compromettente per la salute).
Il suono del cuore è più o meno questo: pschhtt pssschchttt psschhttt.
Una volta mi sono rilassata così tanto che l'ecografa mi ha chiesto se fossi una sportiva, perché il mio cuore batteva molto lentamente. No, ero solo in fase di relax totale.

Finito, mi chiede di accomodarmi fuori che presto arriverà il referto, "E in bocca al lupo!".

Per farla breve il mio seno è sanissimo, probabilmente lo sono anche io, quindi mi concedo di tornare a casa a piedi (un'ora circa di cammino).

Venerdì mattina probabilmente farò il mio prelievo annuale così finisco gli esami da fare nel comasco, mentre a gennaio mi attende l'ecografia della tiroide e la visita a Torino.

Oggi sono ottimista.

Vista dall'ospedale.

08 dicembre 2016

Il mio "banchiere ambulante"

Quando, tra marzo e aprile, la mia storica banca (ex Sanpaolo, poi Intesa Sanpaolo, poi CarisBo quando mi sono trasferita a Bologna) ha deciso che io non potevo più accedere al mio conto online (io quasi mai andata fisicamente in banca), nonostante abbia cercato di risolvere qui a Cömo senza esserci riuscita ho deciso di fare il salto nel buio. Banca Etica.
Ci sono alcune scelte che impiegano anni per maturare, come quella di non mangiare carne, per le quali mi impongo limiti assurdi.
Per la carne è stato: "Ok, compro il libro 'Se niente importa' - lo tengo lì e so già che una volta terminato di leggere non mangerò più carne".
Per la banca è stata pigrizia. Non volevo riaprire un nuovo conto presso la Banca Intesa come suggeritomi dal ragazzotto della banca comasca.
Nonostante la nuova chiavetta per l'accesso e i passaggi che io, da brava nerd, ho seguito pedissequamente, l'accesso non mi era consentito.
Così ho dato il benservito alla CarisBo a Bologna e mi sono avventurata all'apertura del conto presso Banca Etica.
Perché Banca Etica? Me ne aveva parlato millenni fa un amico (molto alternativo, un ragazzotto che lavorava prima come barista per stare a contatto con la gente, poi si è rotto i coglioni e ha fatto un corso di programmazione java ed è diventato programmatore, aveva i dread ma se li era tagliati per andare in tibet in vacanza, ecc), io ero affascinata da questo nuovo concetto di banca che investe su energia alternativa, progetti locali e che ti offre la possibilità di essere socio e votare alle loro assemblee.

Dai, gambe in spalla e facciamo questo salto nel vuoto. Decido di aprire il conto online per medici senza frontiere. Ogni tot vengono devoluti mi pare 6 euro a medici senza frontiere.
Anche se apro il conto online ho comunque bisogno di recarmi presso i loro uffici per firmare alcune robe.
Peccato che la loro sede più vicina sia a Milano.
Peccato che in quel periodo stessi lavorando.

Così sul sito trovo una soluzione che fa al caso mio: il banchiere ambulante!

Non potete immaginare per quanto tempo io abbia fantasticato su questa figura mitologica, per me a metà tra un carrello della spesa piena di fogli e metà banchiere. E su come sarebbe avvenuto l'incontro: avrebbe allestito un banchetto in mezzo alla strada? Nel mio immaginario era nel mezzo di piazza Vittoria a Cömo, con una bandierina del colore di banca etica, blu e gialla. Un omino con gli occhiali, stile rag. Filini.

Ovviamente le mie (ex) colleghe ancora mi prendono in giro per questa cosa, commentando il fatto con "Solo tu, Carla, solo tu!". Prendo appuntamento con il banchiere ambulante che può incontrarmi, manco a dirlo, in un negozio di prodotti equo-solidali in via Milano.
Anche questo è stato oggetto di scherno pesante, ma come dar loro torto?

Mi reco nel luogo X (OT: stavo cercando in questo istante su Google il sito di Banca Etica e, lapsus, ho digitato Bamba etica) ed entro. L'omino è impegnato e io girovago nel negozio trovando già due capi di abbigliamento che poi comprerò effettivamente e che mi daranno l'aria da scappata di casa che tanto mi piace - un vestitino che pare cucito usando le tovaglie a quadri della nonna e una maglietta stile indiano arancione che, lavato, darà quell'aria di foto vintage a tutti gli altri capi di abbigliamento compagni di sventura presenti all'interno della lavatriste.

L'omino è in effetti somigliante al rag. Filini, ha gli occhiali come immaginavo, ha una sorta di banco tutto suo, con un computer, una stampante e ricoperto di fogli.

Non ho molte domande da fargli, voglio solo firmare e andare via. Anzi, no, ho una sola domanda che però lo mette in agitazione assoluta: ricevendo io un bonifico dalla Svizzera, quanto mi costa questo passaggio?
Silenzio.
"Ah-ehm, devo controllare".
Cömo è zona frontalieri, il passaggio di soldi dalla Svizzera all'Italia è roba quotidiana, rimango un po' basita, ma tant'è. Scartabella il contratto (il pdf online che ho anch'io tralaltro ma che per pigrizia non ho guardato) e mi dice che non dovrebbero esserci spese. "È sicuro?"
Silenzio.
Non voglio metterlo in difficoltà, così lo liquido con un "Bhe non importa, al primo versamento controllerò io".
Firmo i miei fogli, saluto e me ne vado.

A parte l'esperienza buffa del banchiere ambulante, per ora con questa banca mi trovo molto bene, le operazioni online sono semplici, l'app (dopo un primo momento di smarrimento) è fruibile. Per cambiare i massimali della carta di credito è stato sufficiente mandare loro un messaggio tramite la piattaforma online.

Se volete provare un'esperienza mistica e avere una banca davvero differente io ve la consiglio. Poi, oh, vuoi mettere, conoscere la figura mitologica del terzo millennio?
Ora vi saluto, vado dal parrucchello, ma solo perché sol capello liscio e a metà lunghezza mi paio la madonna. Un po' punk ma pur sempre madonna.

Canzone del giorno: Lo schiaccianoci Tchaikovsky (eh bhe oggi l'è così)
Chiedo scusa per gli errori, non ho avuto modo di rileggere


07 dicembre 2016

Magari

Canzone del giorno: Ojalà Silvio Rodriguez



Traduzione:

Magari le foglie non ti toccassero il corpo quando cadono
così non le potresti trasformare in cristallo.
Magari la pioggia smettesse di essere un miracolo che scende per il tuo corpo.
Magari la luna potesse uscire senza di te.
Magari la terra non baciasse i tuoi passi.
Magari terminassero il tuo sguardo costante, la parola precisa. il sorriso perfetto.
Magari succedesse qualcosa che ti cancellasse in un attimo:
una luce accecante, una tempesta di neve.
Magari perlomeno mi portasse via la morte,
per non vederti più, per non vederti sempre in tutti i secondi,
in tutte le visioni: magari non potessi suonarti né cantarti.
Magari l’aurora non facesse grida che cadono sulla mia schiena.
Magari questa voce dimenticasse il tuo nome.
Magari le pareti non trattenessero il rumore del tuo cammino stanco.
Magari il desiderio se ne andasse con te,
col tuo vecchio governo di defunti e di fiori.
Magari terminassero il tuo sguardo costante,
la parola precisa, il sorriso perfetto.
Magari succedesse qualcosa che ti cancellasse in un attimo:
una luce accecante, una tempesta di neve.
Magari perlomeno mi portasse via la morte,
per non vederti più, per non vederti sempre in tutti i secondi,
in tutte le visioni: magari non potessi suonarti né cantarti.

Grazie amica per avermi fatto scoprire questa bellissima canzone.

06 dicembre 2016

Incendi rovinosi

Sottotitolo: ogni scusa è buona per non andare in palestra.

Oggi sarei andata a fare una prima lezione di pilates. Sono dimagrita, molto, secondo me 5 kg li ho persi tornando al mio peso forma. Essendo tornata un'acciuga la cosa migliore da fare sarebbe mettere su un po' di massa muscolare dato che sono molliccia come una medusa (e ho anche la pelle trasparente come una medusa, ma quella roba lì mi piace). Così visto che la mia carissima amica T va in un posto dove puoi anche pagare singolarmente le lezioni ed essendo io una che "sìsìsìsìsì pago tutto subito che così me lo levo e faccio 2 anni di iscrizione IMMEDIATA" frequentando poi a malapena 2 settimane, ho pensato nella mia testa da criceto russo drogato "Dai, faccio una lezione, la pago e vedo come la va".

Così di buzzo buono stamane vado a fare due foto di merda al confine (un progetto così brutto non vorrei nemmeno portarlo, mi vergogno) e, gambe in spalla, torno a casa.
Torno a casa e il tempo di mangiucchiare qualcosa si fanno le 15.
Mhm.
Per andare in palestra dovrei uscire almeno alle 16.30 ma ho da seguire dei videotutorial messi a disposizione dalla nostra insegnante di grafica, quindi dai, per oggi salto la palestra, magari domani che è meglio.
Ne approfitto anche per ordinare la spesa che, a questo punto, faccio arrivare alle 18.

Controllo su Youtube e non vedo i videotutorial in alcuna playlist. 
Bestemmie.
Erano in una pagina di Facebook da cui mi sono staccata per il mio annuale mese sabbatico.
Bestemmie.
Chiedo ai miei compagni di corso in una chat Whatsapp. Le chat di gruppo di Whatsapp sono la versione 2.0 dell'inferno. Non se sei una spammatrice folle come la sottoscritta.
Nessuna risposta.

Penso, ok dai, vado allora in palestra.
Ah no cazzo deve arrivarmi la spesa, non ci posso andare.
Fanculo, attuo il piano B, recupero la password e accedo. E scopro che proprio 5 minuti prima era stata avviata una chat di gruppo su Messenger per problemi con la scuola.
Bestemmie. Devo tornare su facebook e sorbirmi i "ma comeeeeeehh? sei già tornataaaaah? buongiornissimoooooh!"
Seguo i videotutorial, elaboro le mie foto di merda, e penso che tanto anche domani potrebbe capitare qualcosa. Quindi, perché sbattersi?

Del resto fare attività fisica fa male. Chiedetelo alla mia schiena che dopo 20 minuti di "cammello" (dal minuto 2:58 in poi se non volete beccarvi un ripasso) di ieri, a danza del ventre, sta ancora urlando.

E poi: odio gli incendi.

Bagagli dimenticati

La cosa positiva è che mi sto ricordando i sogni.
La cosa negativa è che se mi ricordo i sogni vuol dire che il mio sonno notturno è fatto di microrisvegli e in effetti sì, dormo un po' meno.

Questa notte sono su un treno. L'interno ricorda un po' i vecchi Intercity per cui provo ancora tanta nostalgia, ma non è a scompartimenti chiusi.
D'improvviso il treno si ferma e io devo scendere. Credo di essere a Genova, ma la stazione non ha nulla che ricordi Genova.
Scendo di corsa, felice di esserci riuscita.
Appena sulla banchina, all'aperto (non sotto la tettoia che copre parte del treno quando arriva in stazione - quindi sono scesa parecchio indietro) mi ricordo che mi manca il bagaglio. L'ho dimenticato sul treno.
Corro (cammino velocemente in realtà, sono relativamente tranquilla, come se la perdita di quel bagaglio non fosse così grave) sotto la tettoia e qui noto una cosa strana. L'accesso al treno non è diretto. Tra la banchina e il treno c'è una sorta di muro e si accede al treno aprendo, facendo scorrere, dei portelloni enormi e verdi (se riesco farò un disegno). Mi avvicino quindi alla carrozza 8 e chiamo il capotreno "Mi scusi, ho lasciato il bagaglio sul treno, posso salire a recuperarlo?"
Lui urla qualcosa a qualcuno, come "Che treno è questo? Ah ok!"
Poi parlando con me ma senza guardarmi direttamente, dice "Non è un treno superveloce, quindi possiamo fermarci quanto vogliamo. Sia mai ricevere altre lamentele". Lo dice guardando oltre me, in tono scocciato.
E apre l'enorme portellone verde per farmi salire.

05 dicembre 2016

Boccate di ossigeno.

Questa notte ho sognato un mio caro amico delle superiori. Io e lui eravamo sempre insieme, cantavo nel suo gruppo metal, dormivamo insieme, a scuola prendevamo le note sul registro insieme. Quando, perché parlavamo sempre, i professori minacciavano di separarci ci abbracciavamo stretti e dicevamo in coro "non ci separi, non ci separi". E' un bel ragazzo, ora anche di più, perché a quell'epoca aveva i capelli lunghissimi biondi con la riga nel mezzo e vestiva sempre di nero. Con quegli occhi azzurri e la pelle pallidissima e quell'aria di fottersene di tutti quanti. Sembrava che tenesse solo a me, nel suo mondo. A me e al suo migliore amico che poi divenne il mio ragazzo.
No, invece lui non teneva affatto a me.
Ora lui è un videomaker, grafico e fotografo abbastanza affermato e ha una sua azienda. Parlai di lui anche in questo post. È tatuato e ha i capelli corti, alto e magro. I suoi occhi azzurri ora hanno un altro sguardo, più consapevole, più malizioso. Conosce sicuramente il mondo e ha perso quella sorta di viziata innocenza che ci teneva insieme. Quando raramente in seguito ci siamo incontrati mi presentava sempre come la sua amica delle superiori chevoinonaveteideaquantoeravamouniti.
Stanotte era però il sedicenne che conoscevo ai tempi. Avevo fatto qualcosa, nel sogno, qualcosa che gli aveva provocato dei danni al cuore. Ma non lo avevo fatto apposta, solo che lui soffriva tanto, fisicamente, mi guardava con occhi azzurri, chiarissimi e languidi e io soffrivo, non fisicamente, con lui. Questa sofferenza mi è rimasta al risveglio, come un senso di colpa lieve che mi accarezza la testa e mi dice, con dolcezza, che null'altro si può fare.
Mi guardava e sapeva che soffrivo anche io. Dopo molti sguardi languidi mi disse "Lo so cosa può farti stare meglio".
Entrò in una sorta di chiesetta buia dove in alto era appeso un abito da prete, una casula bianca e rossa. Ma molto in alto, saranno stati diversi metri. Mi disse allora "Lo prenderò per te, così tu potrai fotografarlo, come facevi una volta. Ti faceva sentire felice".

Ovviamente il sogno non ha senso. Non ho mai fotografato abiti da prete ma so che questo mio amico teneva sott'occhio il cuore. Perché non l'ho mai saputo, non me l'ha mai detto e io non ho mai indagato, con quella riservatezza che solo i veri amici possono avere dell'accettare tutto ciò che viene detto ma nel non chiedere di più.
Ieri era l'anniversario della morte di mio padre. Sono passati 16 anni e non ho più dei veri sensi di colpa. Forse ci sono ma sono echi lontani, quasi non riesco più nemmeno a sentirli, anche se non potrò mai scordare quella notte. La mia assenza nonostante quel messaggio che ho cancellato solo anni dopo, l'immobilità del mio corpo che non sapeva cosa fare, le lacrime che mai davvero sono scese. Il freddo corpo, ormai cibo per vermi, di un uomo che non era più mio padre ma solo l'involucro spento.
E il contenuto che qualche giorno prima mi aveva rimproverata perché io, anche allora, non c'ero.

Penso a quando non stavo bene e a quel giorno, quell'unico giorno, in cui ha cercato di spiegarmi quanto anche lui fosse malato. Che mi prese la mano e mi disse "Dobbiamo farci forza" anche se poi all'ospedale non era mai venuto a trovarmi. E io lo guardavo interdetta perché non capivo.

E ancora oggi mi chiedo cos'è questo dondolare in acqua. Le onde mi portano lontano o mi avvicinano? Perché questo lago mi respinge e mi attrae, cosa vuole da me, cosa cerca in me?

Lo sguardo va oltre, fino alla sponda opposta. C'è questo odore nell'aria, questa elettricità che non posso dimenticare e io, piccola, sperduta in acque profonde, troppo, per poter imparare a respirare.