06 novembre 2016

Colpa del tassista

[post ripescato dalle bozze del 2008 credo]

Sabato sera siamo andati in un pub triste triste. Ma era sabato o venerdì? Non ricordo. Il pub a dirla tutta è molto bello, è grande, tutto di legno. Il classico pub dove si va tra amici a chiacchierare. E’ totalmente vuoto, quindi c’è vasta scelta di tavoli. E’ una cosa non da poco.
Peccato che il gestore ci mette un bel po’ a fare i cocktail che lasciano un po’ a desiderare: ma se si ha lo stomaco forte va bene. E poi è un po’ buio, la luce è data da piccole abatjour con ragnatele annesse, inserite tra un tavolo e l’altro. E poi è freddo, c’erano le finestre socchiuse.
Ma per fare 4 chiacchiere non c’è niente di meglio.
Ieri e l’altroieri sono stata a Torino per delle visite. Tutti mi dicono “Ma perché ti sbatti fino a lì per farti visitare che qui c’è Careggi blablabla?”. Risposta: “Quando trovi un medico di cui ti fidi non lo lasci così facilmente”.
Parto l’altroieri da Firenze Rifredi, nemmeno a dirlo, il treno ritarda di mezz’ora. Certe cose non cambiano proprio mai. Arrivo insomma già abbastanza tardino, visto e considerato che un folle seduto accanto a me aveva sul tavolino la foto (ritagliata da un giornale, in bianco e nero) di Sarah Miller e ogni tanto chiacchierava con la foto. Proprio così. Appena c’era un po’ di baccano lui guardava la foto, rideva, e borbottava qualcosa. Io non so, cercavo solo di dormire, ero un po’ cotta perché mi ero svegliata abbastanza presto (povero Roccio che doveva anche andare al lavoro). Ogni tanto mi voltavo verso il signore e lui smetteva: assomigliava a Robert De Niro, la versione italiana con i capelli bianchi e tanta pancetta.
Arrivata a casa di mia mamma mangio velocemente qualcosa e porto a spasso Poldino, intanto un forte mal di testa dovuto al troppo sonno sul treno mi devasta. Mi doccio veloce, mi sistemo alla meno peggio e vado in centro. Magari due passi mi fanno passare il male.
Scopro che in piazza Castello hanno aperto una nuova libreria, molto bella. Qualcosa come “libreria.coop” o “coop.libreria”. Ci faccio un giro e trovo un sacco di libri che vorrei comprare. Ho la mania compulsiva dei libri. Poi non riesco a stare dietro agli acquisti e si accumulano nella libreria. Quanti libri belli. Quanta carta stampata, quanti bei colori di copertine, quante cose su cui vorrei documentarmi.
Meglio uscire. Esco e mi avvio verso la fnac, ma anche lì c’è la libreria. Mi riperdo tra i libri, cerco testi sul Madagascar (all’altra libreria ne avevano di più). Mi chiedo cosa sarebbe meglio se Madagascar o Australia, sono due mete ambitissime, tutta natura, tante bestie, tanta avventura. Rimando la decisione e corro in farmacia a prendere qualcosa per il mal di testa che intanto è aumentato.
Torno a casa di mia mamma mangio qualcosa (si era ormai fatta ora di cena) e prendo la pastiglia. Il giorno dopo ho la visita, anzi le analisi, mi toccherà passare tutta la mattinata in ospedale. E poi devo fare il prelievo, e come al solito ho paura del prelievo.
Per andare all’ospedale ci sono due opzioni: prendere il bus e svegliarmi parecchio prima o prendere il taxi e svegliarmi a un orario decente. Opto per la pigrizia e la spesa allucinante. Il taxista infatti fa strade inesplorate e mi fa spendere circa 21 euro, e mi saluta con “Auguri”. Tutti sanno che non si fanno gli auguri in questi casi ma bisogna dire “In bocca al lupo” mannaggia a te taxista.
Mi tocco le palle che non ho, ma dato che sto decidendo di diventare superstiziosa quasi quasi le espianto a Roccio e le impianto a me: dato che in salute non vado fortissima almeno ogni volta che vado in ospedale e qualcuno prova a farmi gli auguri mi tocco le pallediRoccio e magari la scampo.
Vado al bancone di legno del C.O.E.S. detto altrimenti Centro Onco Ematologico Subalpino, però lì mi mandano a fare la coda: che strano, per gli ex pazienti del Regina Margherita di solito consegnano direttamente loro le impegnative fatte dall’ospedale. Però non dico nulla, in un anno cambiano tante cose,anche le procedure.
Quindi mi accodo e vado a fare il prelievo. Entro come sempre terrorizzata. L’infermiera è un donnino che parla come la Littizzetto (uh come lo sento l’accento piemontese adesso. Mi sembra così alienante) e urla come una foca in calore. Mi vede, penso, tremolante, mi rassicura dicendo che ha lavorato tot anni in Ematologia al Regina Margherita, l’ospedale infantile, e difatti dopo tanti anni mi becca al primo colpo la vena e non mi fa nemmeno male, visto e considerato che mi ha bucato sul dorso della mano, zona abbastanza sensibile. Non deve nemmeno farmi due buchi perché ha azzeccato tutto, io penso checulocheho e vado a mettermi in coda per l’ecografia alla tiroide.
Il dottore che mi fa l’ecografia era una volta un assistente. Mi aveva visitata assieme al mio endocrinologo circa 3 anni fa. Lo avevo notato perché era un bel ragazzotto alla Tom Cruise, lampadato ed aitante. Il mio antitipo ma medico, quindi comunque da notare.
Lo rivedo però più stanco, non più lampadato e con le occhiaie. Era tornato dalla notte e l’ultima visita del suo turno ero io. Era davvero a pezzi.
Mi dice di nuovo che la tiroide probabilmente è da togliere. Mi tocco le pallediRoccio e spero che si possa rimandare all’infinito.
Intanto arriva il mio endocrinologo, gli chiedo come mai al bancone di legno non mi hanno consegnato l’impegnativa. Parte arrabbiato a fare il cazziatone alla signora che avrebbe dovuto farlo e torna con la mia impegnativa.
Mi rimane solo quella che credevo essere una mammografia ma si rivela (come appunta l’endocrinologo) per ora “solo” un’ecografia al seno.
Vado a fare colazione che ho una fame boia e spero mi facciano passare prima dato che sono le 10 e ho l’appuntamento alle 12.40. Ma arrivata in reparto radiologia capisco che non c’è speranza. C’è gente che aspetta da ore ed era prenotata ore prima. Il mio problema è il treno. Devo prendere il treno ma prima devo tornare a casa di mia mamma a recuperare lo zaino. Questo vuol dire che per prendere in tempo il treno delle 17 devo uscire dall’ospedale alle 14. Mi ci vuole un’ora e mezza per andare a casa di mia mamma dall’ospedale e un’altra ora per tornare in stazione. 15 minuti per mangiucchiare qualcosa ce le vogliamo mettere?
Insomma si fanno le 13 e sono ancora lì. Meno male ho il libro sulla PNL che tralaltro ha proprietà soporifere su di me, mi basta leggerne una pagina e svengo collassata, come in catalessi, oberata da tanti termini e diciture. Per dirla breve la gente comincia a sfavarsi e partono le polemiche.
Così ci spostano in un altro reparto che fa la stessa cosa. Chiedo a una signora per quando era prenotata. Mi dice che era prenotata per le 10 (sono le 13.20), perdo speranze di passare perché le dico che sono prenotata per le12.40 ma, miracolo, mi chiamano. Quindi la signora si sfava perché ora sa che la sua prenotazione veniva prima, però la dottoressa dice che mi sono registrata prima di lei e quindi non ci sono cazzi. La ringrazio e le spiego che ho anche un treno da prendere, quindi attacca a ecografare. Mi spoglio, mi sdraio, guarda bene, riguarda bene e parla con un collega. Parla di nodulini. Mi fanno rivestire e mi spostano al reparto dov’ero prima per farmi fare una mammografia. Ma come mammografia, non dovevo fare solo un’ecografia? Comprendo bene che c’è qualcosa che non va.
La mammografia, per chi ha poche tette come me, è una tortura. Devono schiacciarti il seno tra due ripiani e il medico ce la mette tutta, me le tira, me le palpa, me le strizza. Un male cane insomma. Poi le rifà più volte perché non gli riesce: col senone (come direbbe mia mamma) sarebbe tutto più semplice ma un senino non ha mammografia che tenga. Mi chiedono di rivestirmi e mi fanno rifare un’altra ecografia con una dottoressa con più esperienza.
Parla di linfonodi e di gruppi calcificati, io non ci capisco molto, ma continuo a capire solo una cosa: che qualcosa non va.
Mi chiedono di rivestirmi dopo aver fatto un segno sul seno destro con un pennarello indelebile nero. Mi piazzano un cerotto con una sferetta incollata all’altezza del puntino disegnato. Mi fanno fare un’altra mammografia ma i segni non coincidono. Mi chiedono ancora di vestirmi e il dottore mi spiega che ci sono un gruppo di formazioni calcificate e un nodulino ma non sanno altro. Fare un’agoaspirato non si può, troppo piccino. Vogliono farmi una biopsia chirurgica.
L’11 saremo di nuovo a Torino per una visita dall’endocrinologo ci dirà lui poi, guardando gli esami, cosa fare. Certo, ho paura.
Però c’è Roccio con me (che dolce, mi ha regalato un fiore di girasole), e anche se un piantino me lo sono fatta ieri, non posso davvero lamentarmi di niente.
E poi, lo so bene, la colpa è tutta del taxista.

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